Con la nascita del nuovo millennio, e non poteva essere altrimenti, crescono le paure e le nuove fobie prendono il posto di diversi movimenti culturali creando così un vuoto che sembra voler soffocare non solo Milano ma l’intera nazione.
Tutti questi processi vengono immancabilmente raccontati al cinema da pellicole di forte impatto sul pubblico in sala. Lo spettatore può così assistere a Fame chimica, film del 2003 dove dei ragazzi del popolare quartiere di Barona vivono sulla loro pelle problematiche come l’integrazione, la droga, contrariamente a quanto viene quotidianamente mal raccontato, in pieno spirito disinformativo dai media locali e nazionali.
Decisamente più leggero, dai toni autoironici, è la Milano bevuta, non più da bere, raccontata da Lucini che descrive la realtà pubblicitaria del 2005.
La Milano del cinema conserva il suo aspetto ma cambia i toni
Gabriele Salvatores, premio Oscar e milanese d’adozione, dopo il primo Kamikazen torna a girare nella Milano svuotata d’agosto. Il suo Happy Family presenta artistiche sequenze in bianco e nero, accompagnate da notturni chopiniani, che ripropongono i luoghi cult della città.
Si ritrovano in Funeralpolis di Alessandro Redaelli i giovani milanesi disillusi che condividono tra loro tutto quello che per loro è importante, come i muri di casa, quelli cittadini dei murales e la vita scandita dal rap, tutto però senza sogni, quelli ormai sono andati perduti. Non si può sognare in questa pellicola che racconta le crisi periferiche di Bresso, dove i dialoghi sono segnati da hashtag, senza soluzioni o continuità apparenti.